Perec compila per l’OuLiPo una breve Storia del lipogramma in cui discerne tre tradizioni successive dell’artificio: quella «totalitaria» («che produce un’opera continua, ispirata il più delle volte a un’opera-madre […], divisa in tanti capitoli quante sono le lettere dell’alfabeto che utilizza, da ognuno dei quali è esclusa una lettera»[1]), che arriva fino all’XI secolo; quella incentrata sulla sparizione della lettera r («notevolmente stabile dall’inizio del XVII secolo ai giorni nostri, caratterizza quasi esclusivamente i lipogrammi tedeschi e italiani»[2]); quella «vocalica», di difficoltà variabile da lingua a lingua per ciascuna vocale. Nel complesso, Perec vede nel lipogramma il «grado zero della restrizione»[3], quindi il nucleo archetipico fondamentale di ogni procedimento combinatorio.

Per anni la notorietà di Perec fu legata soprattutto all’impresa portata a termine di scrivere un intero romanzo, La disparition (1969), senza la lettera e, la più frequente in francese, saggio d’abilità coronato dalla successiva e complementare stesura del monovocalico Les revenentes (1972), da considerare come mero esercizio oulipiano. In realtà, La disparition è ammirabile per lo sforzo agonistico nel superamento della restrizione solo da chi è completamente estraneo a tali artifici, poiché il lipogramma oppone una resistenza piuttosto lieve alla scrittura, costringe a uno slalom linguistico facilmente percorribile da un’attenta applicazione, quando ci si consenta non solo l’uso di sinonimi, arcaismi, metafore, parafrasi, ma anche deformazioni lessicali, neologismi, imprestiti da lingue straniere. L’ammirazione che il romanzo giustamente suscita non è dovuta allora al tentativo di minimizzare le deformazioni linguistiche provocate da questo «grado zero della contrainte», ma all’opposto il geniale assecondamento di queste traiettorie curvilinee, il rispetto dello “stile” generabile dalla restrizione. La scomparsa di una vocale genera un “linguaggio della scomparsa” il cui affioramento insperato è il premio principale dello spossessamento, della mutilazione imposta. Per Piero Falchetta, inoltre, oltre che storia di una catastrofe subita, La disparition è altresì «mappa della sopravvivenza» del linguaggio: «Perec approfitta infatti di ogni occasione per riammettere al mondo – rifondando con ciò il mondo – il maggior numero possibile di significanti sopravvissuti alla decimazione»[4].

Ma la fondamentale lezione narrativa di questo romanzo è nel completo e totalizzante riversamento tematico dello spunto formale che governa il discorso: la scomparsa di una lettera provoca la scomparsa successiva di tutti i personaggi che si accingono a comprendere il presupposto formale che li genera; nel momento in cui un personaggio accede alla coscienza della tecnica narrativa che lo tiene in vita, non è più contenibile dalla finzione, e di conseguenza eliminato dai sicari dell’autore che hanno il compito di mantenere la norma, ovvero gli altri personaggi; la finzione implica che il personaggio venga inibito dalla coscienza di essere tale, ma soprattutto è necessario impedirgli d’infrangere la norma pronunciando la lettera proibita, l’indicibile che sorregge il testo. La fabula si costruisce così adottando una tecnica da thriller le cui dinamiche metatestuali si svelano man mano ad indirizzare verso l’autore («il Barbuto») il movente e la realizzazione della catena di omicidi allineati nell’opera.

Il contenuto della narrazione rinvia così incessantemente alla sua stessa forma, secondo un meccanismo che chiameremo di reimplicazione: la modalità e il contenuto dell’enunciazione si rispecchiano a vicenda, sono oggetti isomorfi che discendono entrambi da un modulo restrostante comune: la scomparsa da un insieme predefinito di un elemento che gli appartiene. La disparition contribuisce a frantumare definitivamente la distinzione tra forma e contenuto, funzioni che da complementari vengono rese riversabili l’una nell’altra, in quanto entrambe poste sotto il dominio di un unico segno, capace di generare interamente il testo per la sua applicazione ricorsiva: come i frattali di Mandelbrot o i canoni di Bach, il testo si sviluppa a partire dalla proliferazione su ogni scala di un unico principio generatore.

La stessa letteratura combinatoria si segnala non solamente per l’applicazione tecnica dei procedimenti combinatori, ma soprattutto per il movimento continuo di semantizzazione di questi strumenti astratti, moduli assorbiti dalla pratica letteraria e che improntano di sé le forme e i contenuti, che evadono dal locus solus della strutturazione del materiale narrativo per legarsi alle avventure del senso, per definire ambiti più generali dell’approccio di questi autori alla letteratura ed al reale; moduli tecnici che si combinano a tutti i livelli con le domande che traversano da sempre il campo della ricerca letteraria. In questo senso, la letteratura combinatoria non fa che ricercare e sperimentare la totalità delle applicazioni reimplicatorie della combinatoria: essa è posta al centro di un circuito di senso che lavora per riversare le meccaniche dell’espressione nelle questioni e negli affanni dell’espresso, ed istituire un movimento di ritorno che rivesta di quei significati il corpo nudo del modulo formale.

Indice
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[1] Storia del lipogramma, in Ruggero Campagnoli – Yves Hersant, a cura di, op. cit., p. 84.

[2] id., p. 85.

[3] id., p. 93.

[4] Piero Falchetta, Mappa della sopravvivenza, in appendice a La scomparsa, trad. it. di Piero Falchetta, Napoli, Guida editori, 1995, p. 264.