Nell’opera di Perec le possibili applicazioni e modulazioni narrative della combinatoria si moltiplicano e si impastano con le fonti più interne del movimento della scrittura. Già Queneau aveva suggerito la possibilità di utilizzare una griglia normativa attraverso cui setacciare il dato autobiografico e le pressioni che dal profondo si affacciano a motivare la necessità del raccontare. In Perec questa formalizzazione dell’informe si fa strumento imprescindibile di una ricerca letteraria che è prima di tutto ricerca di sé stesso. L’esperienza oulipiana risulta così il dato decisivo della sua evoluzione, poiché fornisce a Perec gli strumenti necessari a distanziare la Storia, il vissuto personale, la persistenza infraordinaria del quotidiano, e ad assumerli come elementi di un gioco letterario in cui nella combinazione inesausta dei singoli tasselli si intravede la possibilità della ricomposizione dell’identità in un quadro unitario. Le dinamiche dell’opera seguono così le linee di una combinatoria introspettiva che gioca a permutare le tessere dell’esperienza come tasselli di un puzzle:

Quando tentavo di parlare, di dire qualcosa di me, di affrontare quel clown interiore che giocava così bene con la mia storia, quel prestigiatore che era in grado di incantare anche se stesso, avevo immediatamente l’impressione di essere sul punto di ricominciare il medesimo puzzle, come se, a forza di esaurire una a una tutte le combinazioni possibili, un giorno potessi finalmente giungere all’immagine che cercavo.[1]

Naturalmente l’assunzione operativa dei procedimenti combinatori non si dà esclusivamente come metafora di un movimento di autocostruzione, ma si carica di una supplementare valenza ludica che ne garantisce l’autosufficienza: ammessovi nel 1967, «dell’Ou-Li-Po Perec era diventato il maggiore esponente, e si può dire che almeno due terzi della produzione del gruppo erano opera sua»[2]. Calvino riporta, a titolo d’esempio, l’esperimento di Ulcérations:

Per esempio, Perec parte dal dato statistico che le undici lettere più frequenti nel francese scritto sono quelle che si ritrovano nella parola ulcérations; un ordinatore elettronico gli fornisce tutte le permutazioni possibili di queste undici lettere; da questi anagrammi senza senso Perec pazientemente sceglie quelli che letti uno di seguito all’altro (e introducendo stacchi e punteggiatura), possano formare dei versi liberi dotati d’un senso e d’un ritmo. Ne nasce un libretto di poesie, intitolato appunto Ulcérations che consiste esclusivamente di 399 permutazioni di quelle undici lettere.[3]

Proseguendo su questa strada, Perec pubblica nel 1976 Alphabets, una raccolta di testi eterogrammatici, in cui cioè appaiono solo determinate lettere, ed in cui ogni verso è anagramma dell’altro[4]; La Clôture et autres poèmes raccoglie invece ogni sorta di giochi, palindromi, eterogrammi, acrostici[5]. La regolamentazione eccessiva che fonda tutta quest’attività “poetica” non trae origine esclusivamente da scelte teoriche, ma costituisce quasi un piano di difesa dalla vertigine della libertà compositiva:

Non ho in programma per il momento di scrivere poesia se non imponendomi contrainte del genere […]. L’intensa difficoltà che pone questo genere di produzione e la pazienza che occorre per arrivare ad allineare, per esempio, undici «versi» di undici lettere ciascuno, non mi sembrano niente paragonate al terrore che sarebbe per me scrivere «poesia» liberamente. Ma forse un giorno oserò farlo.[6]

Tra i molti contributi per la Biblioteca Oulipiana è d’obbligo citare almeno l’Esercizio su una frase di Raymond Roussel, in cui lo spazio tropologico delle frasi rousseliane viene percorso per minuscoli slittamenti semantici delle quattro parole, che individuano infine un punto intermedio di giunzione in una semplice permutazione delle due frasi-genesi:

Si tratta di giustificare il passaggio operato da Raymond Roussel, in un celebre racconto, dalla frase iniziale:
«Les lettres du blanc sur les bandes du vieux billard»
alla frase finale:
«Les lettres du blanc sur les bandes du vieux pillard»
mostrando che queste frasi sono rigorosamente equivalenti, poiché sono fra l’altro entrambe equivalenti alla frase:
«Les bandes de la lettre sur le pillards du vieux blanc»

«*Les lettres**du blanc**sur les bandes**du vieux pillard*»
*billets**homme**clans**plagiaire*
*effets**amant**partis**copiste*
*……..**……..**……..**……..*
*bienfaits**levée**chauffeurs**pur*
*faveurs**pli**brigands**innocent*
***bandes******lettre******pillards******blanc***
*faveurs**pli**brigands**blafard*
*bienfaits**levée**chaffeurs**livide*
*……..**……..**……..**……..*
*énergies**rouge**saillies**abaque*
*caractères**fard**rebords**table d’opérations*
«*Les lettres**du blanc**sur les bandes**du vieux billard*»[\[7\]](#_ftn7)

Perec utilizzerà successivamente anche l’ultimo procedimento rousseliano nel Petit abécédaire illustré (1969), testo di cui Calvino raccoglie la sfida, fornendone un equivalente nella lingua italiana [8]:

Il Petit abécédaire illustré di Georges Perec (pubblicato privatamente nel 1969 e poi in: Oulipo, La littérature potentielle, Gallimard 1973, pp. 239 e 305) è composto di 16 brevissimi testi narrativi la cui chiave viene data in fondo: ognuno di essi equivale semanticamente a un altro testo di poche sillabe che a sua volta equivale foneticamente alla successione d’una consonante e delle cinque vocali come nei sillabari: BA-BE-BI-BO-BU, CA-CE-CI-CO-CU, DA-DE-DI-DO-DU, e così via per tutte le lettere dell’alfabeto.

Per esempio: PA-PE-PI-PO-PU è reso così: «Trasferitosi a Cremona, il Sommo Pontefice scruta con ansia il fiume che manda cattivo odore. Pape épie, Pô pue».[9]

L’operazione, più difficile in italiano per la maggiore rigidità del rapporto fonetica-ortografia, è comunque portata a termine da Calvino, con risultati spesso gustosi e sorprendenti:

SA-SE-SI-SO-SU

Per convincere il proprietario d’un night-club a scritturarla, una spogliarellista lo assicura della propria efficacia nel provocare l’eccitazione degli spettatori.

– Sa? Sessi isso su[10]

La contrainte rousseliana è usata da Perec in serie ad una regola supplementare che ne estingue lo spazio di casualità, di modo che ogni breve testo sia ricavato da una sequenza di scelte obbligate[11]: l’elenco delle sequenze generatrici è il risultato di un sillabario, cioè di una combinatoria che svolge interamente le possibilità di combinazione delle consonanti con le vocali, secondo le modalità che abbiamo già esposto come prodotto cartesiano di due insiemi[12]. Ma la stessa regola rousseliana è impiegata molte altre volte nella sua opera, piegata a differenti intenti, come in un testo di Voeux in cui si narra di una partita al gioco del go che in Paradiso oppone Tito Livio a Cosimo de’ Medici, traccia narrativa in cui si riconosce un’incongruità di evidente sapore rousseliano: ed infatti, «Paix, Tite, Cosme au go nie porte hâtive» è la frase-genesi che utilizza il procedé rousseliano per omaggiare la Piccola cosmogonia portatile di Queneau.[13]

Se l’opera di Roussel contemplava frequentemente la presenza di giochi di società e rebus crittografici, mentre l’autore si dilettò per un certo periodo di varianti scacchistiche di una certa rilevanza teorica[14], Perec predilige tutti i giochi accomunati da una sottostante figura reticolare in cui si attua la combinazione dei discorsi, vittoria o compimento dello sforzo gratuito del gioco. Così si spiega l’interesse per l’«arte sottile» del go[15], che si esercita sul «contrôle des intersections vides»[16] del reticolo. Ma il gioco perecchiano per eccellenza è il puzzle, metafora principe della combinatorietà dell’opera perecchiana, che affiora segnatamente in La vita istruzioni per l’uso come principio strutturale e motivo tematico agglutinante, su cui si sofferma il preambolo dell’opera[17]. Le virtù gestaltiche del puzzle permettono a Perec di ridimensionare l’essenza a favore della relazione:

L’oggetto preso di mira – sia esso un atto percettivo, un apprendimento, un sistema fisiologico o, nel nostro caso, un puzzle di legno – non è una somma di elementi che bisognerebbe dapprima isolare e analizzare, ma un insieme, una forma cioè, una struttura: l’elemento non preesiste all’insieme […]: conta solo la possibilità di collegare quel pezzo ad altri pezzi e in questo senso l’arte del puzzle e l’arte del go hanno qualcosa in comune; solo i pezzi ricomposti assumeranno un carattere leggibile, acquisteranno un senso: isolato, il pezzo di un puzzle non significa niente…[18]

Perec è chiarissimo: fuori dall’atto del combinare non si dà senso, ed è questa affermazione la migliore introduzione al libro e insieme all’intera opera perecchiana, di cui questo iper-romanzo riassume in larga parte le linee fondamentali. Il puzzle qui è ben più che metafora, è immagine che s’incammina dallo statuto retorico verso i procedimenti combinatori a cui rimanda, finendo per costituirne la forma sintetica, quintessenziata, e quindi una loro esatta rappresentazione.

Allo stesso livello lavora il suo riconosciuto magistero nei cruciverba, attività che intraprese anche professionalmente, i cui esiti migliori sono raccolti in un paio di volumi[19]. Le mots croisés sono ben più che metafora della esatta combinazione dei discorsi, ne costituiscono la forma archetipica ed esemplare, ed insieme il termine ultimo di perfezione a cui mira ogni tentativo di scrittura reticolare derivato dallo sviluppo d’una combinatoria.

Indice
Le linee letterarie
- - - - - -

[1] I luoghi di una astuzia (1977), in Pensare/Classificare, trad. it. di Sergio Pautasso, Milano, Rizzoli, 1989, p. 61.

[2] Italo Calvino, Ricordo di Georges Perec (Perec, gnomo e cabalista, 1982), S 1391.

[3] ibid. Ruggero Campagnoli riprenderà il progetto perecchiano, fornendo una centina eterogrammatica basata sugli anagrammi della parola «Edulcoranti» (in Biblioteca Oplepiana, n°1, 1990).

[4] Cfr. Alphabets, Paris, Galilée, 1985.

[5] Cfr. La Clôture et autres poèmes, Paris, Hachette, 1978.

[6] Conversazione con Jean-Marie Le Sidaner (Entretien avec Jean-Marie Le Sidaner, «L’Arc», n° 76, Paris, 1979), trad. it. di Elio Grazioli, «Riga», n° 4, Milano, Marcos y Marcos, 1993, p. 95.

[7] Marcel Bénabou e Georges Perec, L.S.D. Analitica (Esercizio su una frase di Raymond Roussel), in Ruggero Campagnoli – Yves Hersant, a cura di, op. cit., pp. 137-39.

[8] Su Calvino oulipiano cfr. in particolare Marcel Bénabou, Per una storia dell’OuLiPo tra Francia e Italia: l’esempio Calvino, in Brunella Eruli, a cura di, op. cit., pp. 19-29; Mario Fusco, Italo Calvino entre Queneau et l’Ou.Li.Po., in Italo Calvino. Atti del convegno internazionale, Milano, Garzanti, 1988, pp. 297-304.

[9] Italo Calvino, Piccolo sillabario illustrato (da Georges Perec) (1977), in RR III, p. 334.

[10] id., S 340.

[11] Non è del tutto vero, poiché ad esempio per la sequenza PA-PE-PI-PO-PU Giampaolo Dossena propone una soluzione diversa e più originale di quella di Calvino, che infatti la accoglie nel suo testo.

[12] Sull’asse verticale la serie delle consonanti, su quello orizzontale la serie delle vocali; rileviamo l’esistenza di una differenza tra i due assi, poiché le sequenze ricavate sono lette seguendo un solo ordine (BA-BE-BI-BO-BU*,* e non BA-CA-DA-FA-GA…).

[13] Cfr. G. Perec, Cocktail Queneau, in Voeux, Paris, Seuil, 1989, p. 163.

[14] Cfr. Le mat du fou et du cavalier, e S. Tartakower, Raymond Roussel et les echècs dans la Littérature, in Comment j’ai ecrit certains de mes livres, op. cit., pp. 131-158.

[15] Con Pierre Lusson e Jacques Roubaud pubblica un Petit Traité invitant à la découverte de l’art subtil du go (Paris, Bourgois, 1969). Cfr. anche Hans Hartje, Perec e l’alter-(e)go, in Brunella Eruli, a cura di, op. cit., pp. 87-96.

[16] Petit Traité, op. cit., p. 52.

[17] Ma è stata segnalata da François Caradec anche riguardo a Roussel la parentela tra puzzle e gioco combinatorio: «Ces jeux sur les rassemblances phoniques présentent une évidente affinité avec ceux de l’enfance, rébus, charades, puzzles. “L’élément du puzzle est énigmatique, puis, peu à peu, tous s’emboîtent et présentent en clair l’image auparavant disloquée” (Robert André, La Stèle de Raimond Roussel, «Bizarre», n°s 34-35). L’une des formes du puzzle est le jeu de cubes, et certainement ne faut-il voir que ce jeu enfantin dans l’emploi que Raymond Roussel fait du cube…» (François Caradec, Vie de Raymond Roussel, Paris, J. J. Pauvert, 1972, p. 24).

[18] La vita istruzioni per l’uso (La vie mode d’emploi, Paris, Hachette, 1978), trad. it. di Dianella Selvatico Estense, Milano, Rizzoli, 1994, p. 7.

[19] Cfr. Le Mots croisés, Paris, Mazarine, 1979; Le Mots croisés II, Paris, P.O.L. e Mazarine, 1986.