Lo stile trascurato, referenziale di Roussel è il risultato di una specifica scelta, come ci conferma Leiris:

Quant au style, le seules qualités que Roussel paraisse avoir recherchées sont, outre la plus stricte correction grammaticale, le maximum d’exactitude et de précision. Je me rappelle lui avoir fait un vif plaisir en louant, par hasard, l’extraordinaire brièveté (au point que, débité sur la scène, le texte était trés difficile à suivre) de chacune des anecdotes dont l’enchaînement constitue L’etoile au front: «Je me suis efforcé d’écrire cheque histoire avec le moins de mots possible», me die à peu près Roussel.[1]

Si tratta insomma di una ricerca di sintesi, nell’accezione più comune del termine, come sinonimo di brevità, di riduzione all’essenziale, di liberazione dal sovrappiù. Il contenuto semantico del termine «sintesi» è però sorprendentemente variegato: l’etimologia lo situa originariamente sul fronte del «mettere insieme»[2] (analogo al «combinare»), legando la sintesi ad un’operazione che realizza la compresenza di più elementi in una struttura unica. Ma, al contrario della combinatoria, essa non mantiene inalterati gli elementi che conserva, ma si costituisce come discorso che preleva solo la loro parte “interessante” (decidibile in base a criteri empirici o formalizzati), combina un’astrazione pertinente degli elementi di partenza. La differenza è decisiva: il carattere di “parzialità illuminata” della sintesi s’impone così fortemente da fare slittare il concetto verso il termine di «riassunto», e a privilegiare in questo il senso di «breve» su quello di «composito»; dire che un’esposizione è «sintetica» finisce così per significare che è «concisa», occultando ciò che aveva da dire originariamente il termine: che è composta di molti elementi in sé stessi definiti, che ogni discorso si pone come intersezione di discorsi diversi.

Riassestare la sintesi nei suoi originari binari semantici consente di applicarla come chiave di lettura delle strategie di scrittura rousseliane. Il suo discorso non è semplicemente conciso, scritto con il minor numero possibile di parole, ma è sintetico, ovvero segnala incessantemente il suo status composito, il suo essere costituito di discorsi diversi che il procedimento non discioglie definitivamente nel testo, ma organizza in catene di connessioni; Roussel assembla reticoli cristallini di linguaggio che, permanendo fuori dall’opera, risultano incorrotti e disponibili per la vetrina finale approntata nel coup de theàtre della rivelazione postuma.

La dialettica tra identità e differenza negli oggetti di linguaggio è il campo d’applicazione della sintesi rousseliana, presente innanzitutto nelle maglie delle regole compositive. Il procedimento opera infatti in primo luogo un’analisi di un elemento linguistico, evidenziando come esso sia costituito tecnicamente dalla sintesi di due fattori (1° proc.: la parola sintetizza un significante e un significato; ultimo proc.: la frase sintetizza un insieme di suoni ed un significato della loro aggregazione); in secondo luogo opera una sintesi combinatoria con un elemento omologo secondo una strategia di riconoscimento dell’identità nella differenza (1° proc.: trova una parola agganciata alla prima dall’identità del significante, ma diversa per significato; ultimo proc.: trova una frase agganciata alla prima dall’identità omofonica, ma differente per significato). E’ il riconoscimento dei caratteri sintetici del linguaggio che garantisce in tutti i procedimenti la produzione di un nuovo significato, da utilizzare narrativamente.

Se ciò a cui rimandano immancabilmente i fenomeni di superficie del testo rousseliano è il meccanismo della loro costituzione, le figure reiterate della sintesi nelle sue opere sono anch’esse originate esclusivamente da questa prima sintesi operante nelle dinamiche del procedé. Ma se in ogni oggetto dell’immaginario rousseliano è inscritto tale carattere sintetico, ciò significa che il mondo che esso costruisce non riferisce altro che la totale scomponibilità dell’esistente: la conception rousseliana subordina l’universo alla logica del linguaggio, simulando personaggi ed oggetti sprovvisti di ogni forma d’identità irriducibile, che segnalano senza posa il loro status aggregativo, combinatorio.

La sintesi è riscontrabile ovunque nell’opera rousseliana, nei motivi più differenti, ma sempre sotto una veste di conclamata evidenza formale, in immagini che ne replicano l’archetipo semantizzandolo in mille forme diverse. Roussel trascura solo il più tradizionale (e meno simmetrico) dei modi in cui può trovare attuazione questo pattern formale all’interno di una narrazione: la polifonia narrativa. Strategia letteraria di lunga tradizione, essa sintetizza effettivamente nell’unità del testo i differenti punti di vista dei personaggi sul narrato, ma la nozione di sintesi assume in questo caso un senso generico. Roussel, effettivamente, utilizza anche questo stratagemma, segnatamente nei lavori teatrali, ma amplificandolo fino a capovolgerne la sostanza: la parola rimbalza continuamente da un personaggio all’altro, senza alcuna evidente differenziazione dei punti di vista; talora la frase iniziata da uno viene terminata dall’altro, senza alcuna mutazione di rotta, stilistica o di significato o d’intenzione pragmatica. Non v’è traccia effettiva di personaggi nelle opere rousseliane, essi appaiono come semplici pretesti per l’evocazione degli oggetti prodotti dal procedé; se agiscono, il loro movimento è così ingessato ed improbabile da presentarsi come parodia di movimenti già fatti, banali fino alla soglia dello straniamento. L’amplificazione dello statuto sintetico aggredisce ogni forma d’identità, mostrando lo sdoppiamento praticabile su ogni figura del mondo, che è solo segnale ridondante dell’essere scomponibile delle cose.

Un episodio de L’etoile au front esemplifica magistralmente le virtù attribuite da Roussel all’operazione sintetica. Nella remota Lirtissovia il dissidio costante tra le due razze (Russi e Indù) che ne costituivano la popolazione è risolto dall’apparizione di un vaiato (dal lat. vàrius, vario, screziato), cioè il figlio di un Russo e di una Indù, con gli occhi di diverso colore, che impone finalmente un regime di giustizia e di equità al paese, in virtù del suo carattere evidente di sintesi tra i due popoli. Se positivo è tutto ciò che sintetizza due oggetti, conservando il carattere originale di entrambi, sono ridicolizzati in Roussel tutti i tentativi di fusione indiscriminata di più elementi in un crogiuolo uniforme: ecco così «la Setta degli Eviti, sorta di massoneria che, con intenti satirici, professava pubblicamente una religione barocca fatta di tutti i culti del globo: i quali, inevitabilmente, uscivano ridicolizzati da questo miscuglio»[3].

Anche la rivelazione dei segreti passa in Roussel sempre attraverso una diffrazione delle loro componenti (come sospettava Foucault riguardo al segreto del procedé), che vengono ricombinate, come nel topos delle mappe smembrate, attraverso la ricomposizione successiva dei frammenti o degli indizi: così in Locus Solus il ritrovamento della corona di Jouël da parte di Hello[4], così ne La poussière de soleils attraverso l’adozione d’una struttura complessiva di “caccia al tesoro”.

Ma la sintesi non rinvia semplicemente al «mettere assieme», dice qualcosa in più della combinatoria: consente, infatti, di rendere conto della coesistenza instaurata nel tessuto narrativo rousseliano della pulsione combinatoria con la ricerca dell’essenzialità che abbiamo già registrato nelle scelte stilistiche. La figura reticolare, d’altronde, non rimanda solamente all’orizzonte del “mettere insieme”, ma anche a quello dell’impalcatura, del modello profondo sottostante alle cose, lo scheletro che ne costituisce l’identità essenziale. Il suo immaginario registra puntualmente l’ossessione della scheletrizzazione: solo ne La poussière de soleils registriamo un cranio umano con sopra iscritto un sonetto, un femore con una figura incisa, la visione scheletrica in trasparenza sotto il volto di Manon Lescaut[5]. Ma l’evocazione cospicua di tale macabra oggettistica non acquista il significato né di una truculenza fine a sé stessa, né di un piccolo cimitero di memento mori disseminato nel testo, non evoca altresì nessun sentimento comune legato alla morte, men che meno affetti drammatici; si può parlare di un’assenza della morte in Roussel, poiché dove essa compare ha funzione di semplice soglia, interruttore del passaggio al meccanismo ineluttabile del post-mortem: la corruzione dei corpi, la spoliazione del sovrappiù che mette in luce l’apparato scheletrico sottostante. Naturalmente l’essenzialità sintetica di queste figure rimanda anch’essa al procedé, e precisamente alla strategia della sua rivelazione postuma, che consentirà di liberare finalmente il modello scheletrico sottostante alle sue opere. La predisposizione della chiave postuma mima qui la corruzione naturale dei corpi, o è la presenza di quest’ultima nelle opere a mimare il segreto di Comment? La selva dei rimandi stabiliti nel testo rousseliano è appunto costituita dall’intricarsi di questioni analoghe.

Anche l’ossessione delle macchine partecipa di questa ricerca dei modelli sintetici sottostanti al funzionamento delle cose: la macchina è costruzione sintetica per eccellenza, in cui modello e prodotto coincidono, senza la necessità di alcun lavoro di spoliamento. La «sintesi» è del resto anche il nome della produzione artificiale di una sostanza, in seguito ad una manipolazione in laboratorio, e quindi descrive perfettamente l’universo artificiale della conception, decontaminato da ogni presenza del reale, e la sua conseguente figurazione tematica nelle macchine rousseliane, la cui artificialità, raddoppiata dalla caduta di ogni loro possibile funzionalità pratica, riempie interamente il campo. Sul carattere antifunzionale delle macchine rousseliane si è detto molto, specialmente nell’ambito delle elucubrazioni di Michel Carrouges sulle «macchine celibi»[6]. Ma la sintesi da laboratorio si manifesta ancor più pienamente nelle sostanze straordinarie che emergono nella narrazione, in special modo in quelle che producono il loro effetto solo se combinate con delle altre, in un raddoppio del loro carattere sintetico: abbiamo già ricordato la resurrettina in Locus Solus, ma non si è detto che essa risulta attiva solo in combinazione con il vitalium; «l’iradol, inoffensivo se preso per bocca, diventava folgorante a contatto col sangue»[7]; «per rendere attuabile e pratico l’impiego della calamitina appena inventata, si era resa indispensabile la scoperta di un corpo isolante», cioè l’etanchium[8]. E’ la congiunzione che attiva i fenomeni in Roussel, ogni sintesi assume un carattere produttivo magico che apre su nuovi orizzonti; è infatti singolare che il mondo rousseliano, per il resto non fantastico, sostanzialmente rispettoso delle leggi fisiche del nostro quotidiano, ne fuoriesca solo nell’esposizione di macchinari scientifici; è esclusivamente una scienza magica che innesca l’inverosimile nell’opera rousseliana, naturalmente rinviando al contempo alla macchina testuale del procedimento, in cui l’ipertrofia tecnica è piegata alla produzione del meraviglioso.

Il doppio meccanismo della sintesi include, in definitiva, le due procedure necessarie alla produttività combinatoria: la sintesi d’identità riduce un oggetto all’essenziale, ma l’identità profonda che ne trae non equivale a una irriducibilità, ma al contrario evidenzia l’essere composto delle cose: asciugare un fenomeno dei suoi caratteri inessenziali consente di allineare le tessere “discrete” dei suoi elementi costitutivi, e renderle disponibili alla combinazione con altri oggetti, ovvero altre serie di elementi essenziali. La sintesi di rapporto si incaricherà di trovare oggetti alternativi che condividano alcuni elementi definiti dal processo della sintesi d’identità.

Indice
La descrizione
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[1] Michel Leiris, Documents sur Raymond Roussel, op. cit., pp. 580-81.

[2] Dal tardo lat. synthesis, che è dal gr. synthesis, composizione, deriv. di syntìthemi, metto insieme, comp. di syn, insieme, + tìthemi, metto, pongo (Gabrielli 1989).

[3] La poussière de soleils (trad. it. di Brunella Schisa, La polvere di soli, in R. Roussel, Teatro, op. cit., p. 181).

[4] Cfr. Locus Solus, op. cit., pp. 10-21.

[5] id. , pp. 128, 133, 134.

[6] Vedi Michel Carrouges, Les machines célibataires, Paris, Arcanes, 1953; ma in riferimento a Roussel vedi in particolare AA. VV., Le macchine celibi, Venezia, Alfieri, 1975.

[7] L’etoile au front (trad. it. di Brunella Schisa, La stella in fronte, in Raymond Roussel, Teatro, Torino, Einaudi, 1982, p. 89).

[8] Impressioni d’Africa, op. cit., p. 40.