La combinatoria delle modalità narrative manipola concetti come racconto, rappresentazione, raffigurazione, ovvero oggetti-contenitore, unità letterarie che hanno la funzione di delimitare e contenere del materiale; è evidente allora che una combinatoria di contenitori narrativi determina una struttura gerarchica tra gli elementi combinati, in effetto della posizione che occupano nella serie, cioè della loro disposizione. L’opera si costruisce allora come sistema di coordinamento della serie gerarchica di inclusioni riportabile a una combinatoria di livelli narrativi. Se nelle opere fin qui citate l’apertura di livelli sottostanti si sforza di agganciarsi tematicamente alla narrazione in cui è inclusa, dissimulandosi in qualche maniera, nelle tarde Nouvelles Impressions d’Afrique l’apertura incessante delle parentesi è segnalata come il dato strutturale fondamentale, e portata in piena luce: il discorso scende fino al sesto livello d’inclusione, senza alcun tentativo di limitare la frammentazione del testo, che è invece esaltata, grazie anche ad uno stratagemma tipografico: il segno della parentesi non indica semplicemente l’entrata in un sottodiscorso, ma segnala anche il numero del livello in cui introduce, richiamando implicitamente la misura complessiva dell’opera.

Le nom dont, écrasé, le porteur est si fier
Que de mémoire, à fond, il sait sans une faute
( Comme sait l’occupant, dans une maison haute,
D’un clair logis donnant sur le dernier palier
– Photographe quelconque habile à pallier
Pattes d’oie et boutons par de fins stratagèmes –
( ( Pouvoir du retoucheur! lorsque arborant ses gemmes
( ( ( Chacun, quand de son moi, dont il est entiché,
Rigide, il fait tirer un orgueilleux cliché,
– Se demandant, pour peu qe’en respirant il bouge,
Si sur la gélatine, à la lumière rouge,
Dans le révélateur il apparaîtra flou, –
( ( ( ( Tels se demandent: – S’il diffère d’un filou,
Le fat qui d’un regard ( ( ( ( ( parfois une étincelle,
L’entourant de pompiers qui grimpent à l’échelle,
Fait d’un paisible immeuble un cratère qui bout1🙂 ) ) ) )
Enflamma, dépourvu lui de toute fortune…

1 Que n’a-t-on, lorsqu’il faut d’un feu venir à bout,
Un géant bon coureur, – quand une maison flambe,
Un sauveteur loyal doit-il traînant la jambe,
Considérer de loin la besogne en boudeur? –
Qui, prêt, tel Gulliver, à vaincre sa pudeur,
Aurait à satisfaire une envie opportune.[1]

In questo passo esemplare si nota come Roussel utilizzi tutti gli strumenti a disposizione per assecondare il sistema inclusivo delle parentesi, già di per sé padrone del discorso: l’uso frequente degli incisi racchiusi da virgole o da trattini, ma soprattutto l’insolito ricorso alla nota versificata a pié di pagina.

L’argomento del poema sono alcune attrazioni turistiche egiziane, su cui in ognuno dei quattro canti sono offerte brevi riflessioni introduttive; l’apparente “messaggio” delle successive divagazioni incastonate nel testo è che non bisogna confondere ciò che è piccolo con ciò che è grosso, concetto ripetuto in tutte le varianti possibili; ma l’argomento e la lezione che sembra doversene trarre sono evidentemente puri pretesti per il manifestarsi d’una forma particolare di scrittura.

E’ la concezione della linearità narrativa ad essere attaccata dal poema: il livello principale del discorso non è in grado di rendere un significato, così da esso si diparte un discorso trasversale che mira a precisarlo in una seconda dimensione; ma la pienezza del significato s’intravede e viene ricercata costantemente su un piano più esterno: il differimento della risoluzione del significato provoca una deriva discorsiva che annida una precisazione dentro l’altra, in un circuito che si avvicina asintoticamente all’esaustività ricercata, senza poterla raggiungere. Se Roussel si ferma al sesto livello è perché ha ormai ampiamente illustrato la struttura reticolare soggiacente alla sua scrittura: ogni discorso che interseca trasversalmente la linearità della frase apre nell’opera una dimensione ulteriore, intendendo il termine proprio nella sua accezione geometrica, pertanto il testo rousseliano si presenta qui come una combinatoria a sei dimensioni. Bisogna però precisare che in questo testo lo spazio reticolare aperto dalla deriva dei livelli non viene riempito che da un unico percorso, che infine si richiude progressivamente su se stesso senza alcun cortocircuito. Come nella Vue, il testo si limita a dilatare lo spazio dimensionale del linguaggio, lasciandone trasparire le leggi semplicemente percorrendole con lo sguardo, lasciando alla posterità il compito di riempirne interamente gli interstizi.

In Nouvelles Impressions d’Afrique Roussel realizza, sul piano del discorso, la scrittura reticolare che nelle opere precedenti improntava le strutture, risolvendole in narrazioni concentriche. Ma riconosciamo in questa figura dell’organizzazione testuale anche la forma delle strategie di costruzione intertestuale tra la vita, l’opera e il procedimento, che abbiamo individuato all’inizio come propedeutiche all’interpretazione rousseliana. La scrittura reticolare è quindi la forma onnicomprensiva della concezione combinatoria che spinge Roussel a connettere i discorsi fra loro in tutti i modi e a tutti i livelli della produzione testuale, fin da quelle microscopiche strutture reticolari di cui si sostanzia il procedé.

La figura genetica dell’opera è replicata così in tutti gli altri meccanismi d’organizzazione testuale. Ma il ciclo di produzione rousseliano si attua, come già sappiamo, su tre livelli successivi: 1) La produzione di parole-genesi; 2) Il loro assemblaggio in singole unità narrative; 3) La fabulizzazione che ne verosimilizza la compresenza. La figura reticolare governa le operazioni tecniche del primo ambito, ma abbiamo appena visto come essa informi di sé anche tutte le procedure che dal terzo punto conducono al gioco dell’interpretazione. E’ comunque all’ambito dei materiali immaginari estratti dall’operazione di assemblaggio che viene delegato il maggiore sforzo di mimesi del procedimento, in tutti i suoi caratteri, non ultimo quello della reticolarità costitutiva. Gli oggetti e gli episodi rousseliani rimandano nelle forme più varie tutti inderogabilmente al progetto che li costituisce.

Il più frequente e riconosciuto oggetto di riflessione delle dinamiche di produzione è posto in atto nelle straordinarie macchine descritte da Roussel; celeberrima è la demoiselle, l’impensabile congegno che in Locus Solus costruisce un mosaico di denti umani in cui è raffigurata una scena predeterminata, sfruttando unicamente la forza delle variazioni meteorologiche. Nei due romanzi una vera galleria di simili meraviglie si snoda per l’intera lunghezza del testo. L’equazione che stabiliscono è trasparente: un congegno interamente artificiale è in grado di produrre un’opera artistica grazie alla perfetta messa a punto del suo programma, come il meccanismo del procedimento è in grado di restituire le meraviglie dell’opera rousseliana, ma solo se ben utilizzato:

Questo procedimento, in fondo, è apparentato alla rima. Nei due casi c’è creazione imprevista dovuta a combinazioni foniche.
E’ essenzialmente un procedimento poetico.
Ma bisogna saperlo adoperare. E come con le rime si possono fare buoni o cattivi versi, con questo procedimento si possono fare buone o cattive opere.[2]

Molti altri luoghi testuali costituiscono figure analoghe ma relative a differenti aspetti del procedé; poiché se ne trovano in ogni pagina, non procederemo neanche sommariamente alla loro elencazione, che ogni lettore di Roussel può agevolmente stilare fin dal primo approccio al testo; solo per esemplificare, ricordiamo le scene compiute dai cadaveri nella grottesca gabbia di vetro di Locus Solus: come già ricordato, essi ripetono meccanicamente una scena saliente della loro vita, depositata nella loro memoria, ma tale è l’esattezza con cui replicano i movimenti compiuti in quella passata azione, da rendere necessario un lavoro di riempimento dello spazio che li circonda con gli oggetti esatti con cui erano entrati a contatto in quella situazione.

E’ evidente che questo lavoro di riempimento logico sotto costrizione d’uno spazio vuoto che circonda il soggetto virtuale della narrazione, rimanda all’analogo lavoro di riempimento dello spazio linguistico intorno alle parole-genesi. Ma l’interpretazione potrebbe estendersi a considerare non solo il valore di “sintesi di una vita” dell’episodio scelto, ma soprattutto il carattere di aldilà linguistico delle parole-genesi, a ragionare sul procedimento in quanto messa a morte del linguaggio (disintegrazione dei valori sintattici delle frasi originarie), che viene ricomposto in una simulazione artificiale di vita (in luogo dei rapporti sintattici, vengono stabiliti nuovi rapporti artificiali tra le parole); la combinatoria, come già abbiamo visto nella poesis artificiosa, non mira ad altro che all’eliminazione delle norme costituite, per far valere un altro ordine di rapporti, artificiale, fra gli elementi del linguaggio; la figurazione del procedimento avviene spesso per vie a tal punto complesse e multidimensionali.

Generalmente la mimesi del procedé avviene per schemi più semplici ed icastici, come applicazione di quella che Lucien Dällenbach chiama riflessione semplice, ovvero il “grado zero” della mise en abyme, che segue lo schema della proporzione già ricordato nella demoiselle: nel testo la macchina sta all’opera che costruisce come nelle dinamiche della sua produzione il procedimento sta all’opera rousseliana. Il modello che se ne trae è questo:

modello della mise en abyme

Si ha mise en abyme quando vengono rispettate due coppie di rapporti analogici, ovvero quando si ha un «rapporto di rapporti»[3]: a) viene stabilita una doppia relazione tra elementi omologhi dei due piani (la meccanica artificiosa della demoiselle [x] e quella del procedé [X], l’opera artistica del mosaico [y] e quella del testo rousseliano [Y]); b) viene stabilita l’analogia tra i rapporti intercorrenti tra i due elementi del primo ambito e quelli intercorrenti tra i due elementi del secondo (semplicemente, nel nostro caso, la macchina produce il mosaico così come il procedimento artificiale produce il testo rousseliano). Anche qui, a possiede valore produttivo, mentre b blocca la struttura reticolare, ed ha quindi valore formante.

La riflessività dell’operazione metanarrativa condivide quindi la peculiare forma reticolare del procedimento, conducendo ad una fondamentale considerazione: la mise en abyme è anch’essa stratagemma combinatorio, la doppia coppia di rapporti che fa intrattenere agli elementi della riflessività assume la caratteristica struttura reticolare con cui si attua la combinatoria rousseliana, a cui può essere così ridotta[4]. E’ soprattutto per il tramite della sua funzione di riflessione figurata che il meccanismo reticolare del procedimento si espande nell’opera.

Questa preponderanza della figurazione del procedimento nell’opera rischia però di schiacciarne tutti gli altri livelli di significato, grazie anche all’importanza che Roussel stesso le accorda, occultando le sue meccaniche di produzione fino all’estrema misura. La querelle interpretativa tra “proceduristi” (Foucault, Ricardou, Kristeva) ed “anti-proceduristi” (Ferry, Butor, Roscioni) è basata proprio sulla seguente questione: il mondo evocato dal procedimento non vale quindi che in riferimento ad esso, o è piuttosto dotato di vita propria, di significati che lo trascendono? La migliore soluzione sarebbe quella di sintetizzare le due posizioni in un quadro coerente; se tutti i fenomeni del testo rousseliano sono figura dei modi della sua creazione, il meccanismo di scrittura potrebbe così muoversi secondo una dinamica analoga a quella concezione figurale che Erich Auerbach rintraccia nel pensiero medievale, che «stabilisce una connessione fra due avvenimenti o due personaggi, nella quale connessione uno dei due significa non solamente se stesso, ma anche l’altro, e il secondo invece include il primo o lo integra»[5]. L’oggetto che mima il procedimento (figura) troverebbe così significato sia nel suo carattere di accidente concreto, di attuazione occasionale, che nel suo rimandare alle meccaniche del procedimento; questo (compimento) è situato in un aldilà diegetico che Roussel viene a fare significativamente coincidere con l’aldilà terreno, dove la sua rivelazione postuma si pone come compimento della figura; il procedimento occupa i due estremi della vita del testo, è alla sua origine ma ne svela infine l’identità essenziale, così come il compimento restituisce ai dannati dell’inferno dantesco la loro identità eterna; si provi a sostituire «uomo» con «testo» in questo passo di Mimesis:

Nell’aldilà l’uomo non è più irretito nelle azioni e nei traffici terreni, come in ogni semplice imitazione delle vicende umane; è chiuso invece in una condizione eterna che è la somma e la risultante di tutte le sue azioni, e che a lui nello stesso tempo palesa quello che fu decisivo per la sua vita e per il suo carattere.[6]

Il testo viene a liberarsi nella rivelazione postuma dalla schiavitù della verosimiglianza (la «imitazione delle vicende umane»), e si palesa come prodotto di un procedimento trascendente, che ne definisce l’identità essenziale, definitiva ed eterna come la gloria che Roussel si accingeva a ricevere dall’illuminazione finale della sua opera.

Indice
Raymond Queneau – Il testo e il numero
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[1] Nouvelles Impressions d’Afrique (1932), Paris, J. J. Pauvert, 1963, pp. 7-9.

[2] Come ho scritto alcuni miei libri, op. cit., p. 276.

[3] Lucien Dällenbach*, Il racconto speculare. Saggio sulla mise en abyme*, Parma, Pratiche, 1994, p. 25.

[4] Calvino riconosce in un certo senso la combinatorietà delle procedure metanarrative: «Il gioco combinatorio delle possibilità narrative sconfina presto dal piano dei contenuti per mettere sul tappeto il rapporto di chi narra con la materia narrata e con il lettore […]. Anche questi risultati formali d’una letteratura al quadrato o al cubo […] sono riconducibili a combinazioni tra un certo numero d’operazioni logico-linguistiche o meglio sintattico-retoriche, tali da poter essere schematizzate in formule tanto più generali quanto meno complesse» (Cibernetica e fantasmi, S 208).

[5] Erich Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino, Einaudi, 1956, p. 83.

[6] id., p. 215.