L’ars combinatoria leibniziana viene concepita inizialmente come “lingua universale”, ma con un’evidente accentuazione dei caratteri logici: si tratta di un linguaggio matematizzato modellato sulla stessa struttura del pensiero (characteristica universalis) che dovrebbe poter ridurre ogni disputa filosofica a un semplice calcolo del valore di verità di un enunciato, in modo da dimostrare le verità acquisite (ars demonstrandi) ma anche di scoprirne di nuove (ars inveniendi). Come in Wilkins, il progetto richiede una preventiva ricerca dei primitivi, che Leibniz però intende in senso logico, non tassonomico, e quindi coincidente con la scomposizione delle idee complesse in idee semplici a prescindere dalla loro portata enciclopedica. Conviene intanto riportare per esteso la precisa e sintetica esposizione della tecnica combinatoria leibniziana operata da Paolo Rossi:

Il problema fondamentale della logica inventiva, quale viene esposta nella Dissertatio de arte combinatoria, è quello di trovare tutti i possibili predicati di un dato soggetto e, dato un predicato, trovare tutti i suoi possibili soggetti. […] è necessario individuare le idee semplici e primitive che possono essere indicate con un segno convenzionale, in questo caso con un numero. Siano i termini della prima classe: 1) il punto; 2) lo spazio; 3) l’interposto fra; 4) il contiguo; 5) il distante; (…) 9) la parte; 10) il tutto; 11) lo stesso; 12) il diverso; 13) l’uno; 14) il numero; 15) la pluralità; 16) la distanza; 17) il possibile, ecc. Combinando a due a due i termini della prima classe (com2natio) si ottengono i termini della seconda classe. Per esempio la quantità (il numero delle parti) sarà rappresentata dalla formula: 14twn9 (15). Mediante la combinazione dei termini a tre a tre (com3natio) si otterranno i termini della terza classe: per es. intervallum è 2.3.10, vale a dire che l’intervallo è lo spazio (2) preso in (3) un tutto (10). E così di seguito procedendo per com4natio, com5natio, ecc. Per trovare i predicati di un determinato soggetto basterà suddividere un termine nei suoi fattori primi determinando poi le possibili combinazioni di questi fattori. I predicati possibili di intervallo sono: lo spazio (2), l’intersituazione (3), il tutto (10) presi uno ad uno; poi, presi per com2natio, lo spazio intersituato (2.3), lo spazio totale (2.10), l’intersituazione nello spazio (3.10); infine, per com3natio, il prodotto 2.3.10 che costituisce la definizione di intervallo. Per trovare tutti i possibili soggetti di intervallo (predicato) bisogna individuare tutti i termini le cui definizioni contengono i fattori 2.3.10. Tutte le combinazioni risultanti da questi fattori apparterranno necessariamente alla classe delle nozioni complesse di ordine superiore alla classe cui appartiene intervallo (che appartiene alla terza classe). La linea, che è definita come un intervallo tra due punti, appartiene alla quarta classe giacché per definirla occorreranno quattro termini primitivi: 2,3,10 e 1 (il punto). Dati n termini semplici e indicando con k (n>k) il numero dei fattori primi costituenti un predicato si daranno 2n-k soggetti possibili.[1]

Naturalmente il progetto necessita di una Grammatica Razionale che regoli la sintassi di questi caratteri reali e di un sistema fonologico per la pronuncia, piani successivi che tralasceremo, in quanto estranei alle dinamiche macrocombinatorie, e non particolarmente innovati dagli apporti leibniziani[2].

La Dissertatio fu pubblicata da Leibniz all’età di vent’anni, ma il demone della combinatoria lo accompagnerà per tutta la durata del suo percorso filosofico, le cui dinamiche non presentano grossi punti di discontinuità, pur non trovando l’occasione di una sistemazione finale. Nel 1678 gli sviluppi dell’ars in Elementa characteristicae universalis perfezionano le finalità di calcolo filosofico del sistema, assegnando alle nozioni primitive la serie dei numeri primi, di modo che il calcolo dei predicati assuma la forma algebrica di una scomposizione in fattori primi.

[…] quando sorgeranno delle controversie, non ci sarà maggior bisogno di discussione tra due filosofi di quanto ce ne sia tra due calcolatori. Sarà sufficiente infatti che essi prendano la penna in mano, si siedano a un tavolino, e si dicano reciprocamente (chiamato, se loro piace, un amico): calcoliamo.[3]

La struttura ad albero ricavabile dalla successione delle combinazioni non è più strumento immanente alla combinatoria e dispiegato una volta per tutte come un planisfero (alla maniera wilkinsiana), ma è itinerario tracciabile di volta in volta, schema di sviluppo implicito della combinatoria, virtualità realizzabile se solo si volessero esplicitare tutte le derivazioni, il che non occorre perché all’arbitrarietà delle differenze nello schema wilkinsiano Leibniz oppone una reale proliferazione combinatoria costruita su un processo ricorsivo: la potenziale riapplicazione di tutti gli elementi su ogni termine composto (secondo le procedure che già avevamo indicato come assenti nell’arbor scientiae di Lullo – vedi p. 1), di modo che ogni singola operazione può concepirsi come “apertura” di un ramo della combinatoria, non ricerca di un oggetto nella foresta pietrificata della tassonomia. Gli esiti della combinatoria sono da Leibniz giustamente riconosciuti come incalcolabili, così da non poter essere ricostituiti da una totalità in praesentia, da una mappa enciclopedica fissabile una volta per tutte, ma da operazioni che di volta in volta “costruiscono” il proprio ramo come sguardo su una possibile combinazione di elementi.

La superiorità della combinatoria leibniziana su tutte le precedenti deriva da una sua fondamentale peculiarità: le classi leibniziane non sono vincolate ad un contenuto enciclopedico (generi, specie), ma sono ordini di natura specificamente combinatoria individuati esclusivamente dal numero di elementi presenti in un soggetto o in un predicato (vedi p. 1). L’ “albero invisibile” della combinatoria apre il ventaglio della totalità delle combinazioni (a differenza della gerarchia wilkinsiana che si snoda su singoli tratti tassonomici), ed è così in grado di gestire la pluralità semantica dei concetti. Ma fino a che punto? E’ indubbio che nella concezione iniziale di Leibniz le combinazioni dei concetti primi dovessero estendere l’astrazione di questi fino alla descrizione di tutte le cose, di unità semantiche “piene”, e che quindi il piano logico dovesse ad una determinata profondità della combinatoria trasfondersi in un piano enciclopedico, descrittivo di oggetti fisicamente reali e di generi empirici. Ma nel corso degli anni Leibniz procede a dissipare finalmente la nebbia che avvolge l’ambizione macrocombinatoria, e che impedì fin da Lullo di riconoscere che per tratti semantici così astratti come quelli definibili da questo strumento non si possono comporre oggetti complessi come uomo, o generi a differenziazione biologica, come ornitorinco, la cui costituzione non risale ad una combinatoria di concetti; l’apparente empiricità delle differenze tracciabili in sede classificatoria tra questi enti biologici è forse descrivibile esattamente in termini combinatori, ma ad un livello più profondo ed inaccessibile alla conoscenza prima del nostro secolo: la combinatoria di nucleotidi che determina nel DNA l’identità genetica d’una specie[4]. Ma, anche qui, si tratta di una combinatoria “genetica” appunto, che nulla contiene delle qualità superiori, fenomeniche e culturali dei suoi prodotti, quindi non dà corso ad una descrizione enciclopedica dell’oggetto che designa.

Ma è la stessa possibilità del reperimento di primitivi ad essere negata in fondo da Leibniz, per l’infinita scomponibilità di ogni corpo, a differenza delle entità metafisiche delle monadi:

Non c’è l’atomo, anzi nessun corpo è tanto piccolo da non essere suddiviso in atto […]. Ne consegue che in ogni particella dell’universo è contenuto un mondo di infinite creature […]. Non c’è alcuna figura determinata nelle cose, perché nessuna figura può soddisfare alle infinite impressioni.[5]

E’ il riconoscimento di quest’impossibilità che spingerà Leibniz verso le dinamiche del “pensiero cieco” nello sviluppo della sua combinatoria, come evidenziato da Eco:

Per pensiero cieco si intende la possibilità di condurre calcoli, pervenendo a risultati esatti, su simboli di cui non si conosce necessariamente il significato, o del cui significato non si riesce ad avere una idea chiara e distinta.[6]

Poiché la ricerca dei primitivi è per Leibniz ancora lontana da una realizzazione accettabile, e forse in definitiva impossibile, egli è il primo a riconoscere la funzionalità puramente sintattica dello strumento combinatorio, fuori da ogni successiva determinazione semantica:

Fingo pertanto che questi numeri caratteristici tanto mirabili siano già dati, e osservata una certa loro proprietà generale, assumo frattanto numeri qualsiasi che siano congruenti con quella loro proprietà, e mediante il loro impiego provo tutte le regole logiche con un ordine mirabile, e mostro in qual modo si possa riconoscere se talune argomentazioni siano valide per la loro forma.[7]

Da questo momento lo strumento combinatorio si indirizzerà decisamente verso la costituzione contemporanea dei sistemi logico-formali, deponendo l’utopia macrocombinatoria negli spazi moltiplicati della scienza sperimentale da una parte, nelle formalizzazioni logico-matematiche dall’altra.

Indice
Parte II: La letteratura combinatoria – Raymond Roussel
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[1] Paolo Rossi, Clavis Universalis, op. cit., pp. 262-3.

[2] Vedi la leibniziana Lingua Generalis in Louis Couturat, Opuscules et fragments inédits de Leibniz, Paris, Alcan, 1903.

[3] Accessio ad arithmeticam infinitorum (1672), in Carl I. Gerhardt, a cura di, Die philosophischen Schriften von G. W. Leibniz (1875-90), Berlin, Weidmann, vol. VII, p. 198 (trad. cit. da U. Eco, La ricerca della lingua perfetta…, op. cit., p. 302).

[4] «Watson e Crick ci hanno dimostrato come la trasmissione dei caratteri della specie consista nella duplicazione d’un certo numero di molecole a forma di spirale formate da un certo numero di acidi e di basi: la sterminata varietà delle forme vitali si può ridurre alla combinazione di certe quantità finite» (Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio) (1967), S 211.

[5] Verità prime, saggio senza titolo in Louis Couturat, op. cit., pp. 518-23 (trad. it. in Gottfried W. Leibniz, Scritti di logica, a cura di Francesco Barone, Bologna, Zanichelli, 1968, p. 251).

[6] Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta…, op. cit., p. 300.

[7] Historia et commendatio linguae characteristicae, in Carl I. Gerhardt, a cura di, op. cit., pp. 184-89 (trad. it. in Gottfried W. Leibniz, Scritti di logica, op. cit., pp. 214-15).